Consigli per i Regali di Natale 2015

RICORDAMI DI ESSERE FELICE

DI CLAUDIO VOLPE

PREMIO PIERSANTI MATTARELLA 2015

 

Ricordami di essere felice

 

Come sulla scena, una scena ideale costruita dalla voce dello stesso narratore per dare alle voci che si alternano, forma, sostanza, colore, anima. Per farli entrare in una figura, in un gesto, in una costruzione di sé che si rispecchi in una storia, un volto, in una parola, proprio quella tra le tante, e non ogni altra possibile: la donna che ricorda una vita di violenze subite, il nazista sopravvissuto al processo di Norimberga, il ragazzo chiamato dal branco a fornire prova della sua virilità, gli “zingari” e gli immigrati visti quasi come non facessero parte del genere umano. Sono racconti quelli di Claudio Volpe che afferrano fortemente la vita, la scuotono, la abbattono, non le danno requie, compiendo un salutare salto nel vuoto per porre al centro una realtà, la nostra (il nulla degli affetti, la guerra, l’intolleranza, lo stillicidio della violenza quotidiana) ribollente e perennemente in costruzione. Vogliono rappresentare paure, aspettative, sogni, desideri, nevrosi e contraddizioni, azioni, scelte, inganni, precipizi della mente, ingorghi e violenze dell’esistenza. Un mondo corrusco, caravaggesco, in cui le singole storie riflettono una sensazione e un ansito di corsa, un correre dal buio verso un’impossibile luce, una sorta di riscatto o d’improbabile salvezza. Come quel poeta deluso, racconto di più forte suggestione, sofferente perché oggi alla poesia sembra non credere più nessuno mentre lui ha fede nelle parole, è un uomo in lotta tra il desiderio di suicidarsi e la volontà di vivere per continuare a scrivere versi. L’occhio insieme fulminante e pietoso del narratore riesce a circoscrivere questo suo mondo brulicante e straziato, questa geografia di sentimenti angosce e passioni in una bruciante, continua identificazione negli smarrimenti angosciosi dei vari ”naufraghi”, i suoi frastornati piccoli eroi, sconfitti e disorientati. Prima custoditi dentro la placenta marina (come nel simbolico racconto d’esordio “Io sono il mare”), e poi gettati sulla spiaggia fradici, stillanti, trasfigurati di caos irreale.

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